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Padri dell’Ortopedia: Alessandro Codivilla

interessantissimo articolo che racconta la nascita della specialità ortopedica, dapprima come "costola" della chirurgia generale e poi come branca indipendente. articolo redatto da Nunzio spina sul sito SIOT (https://siot.it/padri-ortopedia-alessandro-codivilla/)



Alessandro Codivilla, esigente e premuroso come un buon papà, prese per mano la nuova specialità quando ancora stentava a muovere i suoi primi passi, e le fece intraprendere, sicura, il cammino sulla strada della definitiva autonomia.

Fu un’opera lunga e faticosa, che lo vide impegnato in prima linea su tutti i fronti: nello studio, nell’indagine clinica, nella ricerca di moderne strategie diagnostiche e di nuovi strumenti operatori. Ma ci fu un momento – giorno, mese e anno – in cui bastarono alcune sue frasi, proferite in un’aula di congresso, a sortire un effetto ancora più rivoluzionario. Era il 22 settembre del 1906; all’Istituto dei Rachitici di Milano andava in scena il 3° congresso della Società Ortopedica Italiana. Lui, Codivilla, relazionando sul tema “Definizione e limiti dell’ortopedia”, sottoscrisse praticamente l’atto di indipendenza dalla chirurgia generale.

Tra i fondatori della prima associazione nazionale di ortopedici

C’era stato anche il suo nome tra coloro che nel 1891 avevano dato vita alla prima associazione nazionale di ortopedici, pioniere a pieno titolo. Di anni ne erano trascorsi quindici, ma di congressi ne erano stati celebrati solo due, proprio perché la neonata ortopedia non aveva avuto la forza di staccarsi dalla società madre di chirurgia generale e dal suo influsso accentratore. Ci voleva un atto di coraggio per uscire da questa condizione di anonimato, e Codivilla si rivelò determinante.

Alla adunanza ortopedica di Milano – che riprendeva voce dopo ben undici anni di silenzio – il prof. Alessandro Codivilla si presentava nell’autorevole veste di presidente della Società, deciso più che mai a trasformare quel risveglio in una riscossa. Sostenuto in questo da Riccardo Galeazzi, che faceva gli onori di casa da presidente del congresso. “Definizione e limiti dell’ortopedia” era proprio il tema sul quale ci si era arenati: doveva già essere dibattuto nel 1893 a Firenze, ma l’appuntamento era saltato, e così quelli degli anni successivi.

Da lì bisognava ripartire; anche perché, per liberarsi dalla sottomissione alla chirurgia generale, era indispensabile intendersi bene sulla definizione del termine “ortopedia”, e soprattutto sui confini entro i quali era lecito rivendicare l’ambito di pertinenza.

Ortopedia: una specialità in via di formazione

Codivilla aveva quarantacinque anni, da sette ormai dirigeva il Rizzoli di Bologna, che grazie alla sua opera stava cominciando ad acquisire notorietà e fama (tanto da aver curato una frattura di gamba di Giacomo Puccini).

Come dire che le argomentazioni che portò avanti, nel relazionare su quel tema apparentemente astratto, erano il frutto di tanta concretezza, di tanta esperienza maturata sul campo. Poteva così ammettere, con cognizione di causa, che lo stesso termine “ortopedia” (coniato dal francese Nicolas Andry nel 1741, come l’arte di prevenire o correggere nei bambini le deformità del corpo) aveva un “senso vago e indefinito”, che aveva procurato una facile popolarità alla nuova materia, senza però identificarla in maniera chiara. Un’etichetta che, da un lato poteva sottrarre all’ortopedico la grande casistica dell’età adulta, dall’altro le concedeva indebitamente anche le patologie dei fanciulli affetti da labbro leporino, da difetti del padiglione auricolare, da estrofie della vescica, persino da balbuzie, se si accettava il concetto di deformità funzionale.

Cercare a tutti i costi di trovare una definizione più adeguata sarebbe stato complesso, e sicuramente fuorviante. La parola “ortopedia”, secondo Codivilla, meritava di essere conservata, “tanto più che essa suona bene…”, e “per la sua elasticità si presta a denominare una specialità che è in via di formazione…”. Dietro quella parola, però, c’erano princìpi e finalità che non potevano prestarsi a libere interpretazioni; peraltro, era tramontata pure l’epoca della semplice, e spesso empirica, cura meccanica.

La nuova specialità aveva trovato nozioni anatomo-fisiologiche su cui basarsi, e nuove risorse chirurgiche da impiegare. Per cui Codivilla si sentì in dovere di dichiarare: “Io credo che noi possiamo sostenere già la tesi che l’ortopedia deve includere in sé stessa non soltanto le deformità dell’apparato locomotore, ma tutte le lesioni e le affezioni chirurgiche di esso”.

Che non si trattasse solo di una questione meramente formale, lo si capì dalle conclusioni che trasse, subito dopo: “Se il concetto dell’ortopedia cui ho accennato sarà accolto, delle riforme si renderanno necessarie. Negli istituti ortopedici si dovrà fare posto alle lesioni traumatiche ed alle malattie delle ossa e delle articolazioni… Con la divisione della chirurgia in due branche, negli ospedali generali dovranno aprirsi sezioni per la chirurgia degli organi di movimento. Le stesse modificazioni sarebbero necessarie nell’insegnamento…”.

L’emancipazione dalla Chirurgia generale

Ad affollare l’aula, quel giorno a Milano, c’erano non pochi chirurghi generali. Uno di loro, Giuseppe Muscatello, direttore di Patologia chirurgica a Pavia, era stato invitato come correlatore sul tema, così da far suonare – rispettosamente – anche l’altra campana. Nel prendere la parola dopo Codivilla, mostrò ovviamente il suo dissenso, vedendo minacciati distretti che la chirurgia possedeva da sempre, non certo disposta a cederli così a cuor leggero: si era toccato il nervo scoperto della questione. Opinioni, repliche, controrepliche. Non c’era una mozione da mettere ai voti, e ognuno restò del proprio parere. Ma si era in un congresso di ortopedia, e le parole del suo paladino Codivilla ebbero modo di echeggiare in maniera più vigorosa e più convincente.

Sarebbe stata la storia a rendere ragione delle tesi autonomistiche di Codivilla, e a vedere affermarsi, nella nuova figura specialistica, quelle prerogative da lui auspicate: “L’ortopedico moderno non deve essere soltanto chirurgo, né soltanto meccanico. Egli deve essere innanzitutto medico, nel senso più largo… Deve essere uno scienziato, non un semplice terapista empirico…”.

Codivilla continuò a tenere per mano l’adolescente ortopedia italiana, presentandola ancora più matura al successivo congresso nazionale, da lui organizzato a Bologna nel suo Istituto Rizzoli. L’adesione di vecchi e nuovi soci fece registrare una impennata clamorosa; mentre la partecipazione di autori stranieri aggiunse quel tocco di prestigio in più. Da quel momento, il buon padre poteva lasciare che la figlia prediletta cominciasse a correre con le proprie gambe!

(a cura di Nunzio Spina)


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